Gli ultimi tra gli ultimi
L'accoglienza di malati psichiatrici in Costa d'Avorio



Caritas Insieme TV ha raccolto la testimonianza di Gregoire. Un uomo semplice, padre di una numerosa famiglia in Costa d'Avorio. Mosso dalla fede cristiana da vita ad un'esperienza di accoglienza verso gli infermi, i carcerati ed infine gli ammalati psichiatrici. Qui di seguito è riportata la trascrizione della sua testimonianza e il commento di Marco Bertoli uno psichiatra che ha incontrato l'esperienza di Gregoire e di un sacerdote, Don Paolo Zuttion, missionario in Costa d'Avorio.

Gregoire Ahongbonon: In Africa i malati mentali rappresentano una vergogna per la famiglia. Una vergogna per tutta la società. Direi addirittura una vergogna per le autorità politiche. Non si sa cosa fare con loro
La gente ha paura di loro. I malati mentali sono in strada completamente nudi, abbandonati da tutti. Il loro cibo è nella spazzatura. Dormono nei canali di scolo.
Quando faccio riferimento al Vangelo, io scopertine/copro in questi uomini, la persona stessa di Gesù Cristo. Mi sono detto, dopo tutto, è Cristo che stiamo cercando dappertutto, che sta soffrendo e che sta dormendo nei canali.
Bisogna fare qualcosa. È così poco a poco andando a visitare queste persone nelle strade, ho cominciato a superare la paura, paura che animava tutti e che anch'io avevo.
Ai primi approcci mi sono reso conto che non erano persone pericolose come si pensava, Poco alla volta ho cominciato a creare dei legami di amicizia, passavo le notti andando a trovarli e portandogli qualcosa da mangiare. Cercando di creare dei veri legami di amicizia con loro.
A un dato punto mi sono detto io dormo in una casa e vado trovarli in strada. Bisogna continuare così ? è normale questa situazione ?
È così che è nata l'idea di occuparci della loro salute. Abbiamo incontrato i medici psichiatri della città, gli ho parlato delle mie preoccupazioni, gli ho detto che volevo occuparmi di queste persone. Ci hanno risposto che se volevamo loro erano pronti ad aiutarci ma noi dovevamo pagare i medicamenti e il cibo. Risposi : se Dio vuole troveremo il cibo.
Abbiamo quindi accompagnato qualche malato negli ospedali ma abbiamo subito visto che non era quello che cercavo io. Non c'era evoluzione o guarigione. È vero, i malati erano ora in una struttura ma umanamente non erano ancora riconosciuti come degli uomini.
Mi sono quindi detto che se volevamo realmente occuparci di queste persone bisognava cominciare prima di tutto a riconoscerli come uomini. Partendo da questo è possibile forse ottenere dei risultati.
Nel 1994 abbiamo quindi costruito il primo centro. È stato molto difficile, ma mi dicevo sempre che Dio si occupa dei poveri. Costruito il centro abbiamo iniziato ad accogliere i malati. In breve tempo abbiamo ottenuto dei risultati positivi. I malati sono recuperati svelto.
Dico sempre ai miei fratelli che per andare incontro a questi malati bisogna comportarsi come una madre davanti al suo unico figlio. In Africa il bambino rappresenta qualcosa di molto importante. Come una madre che ha un solo bambino nella sua vita, una madre che ha fatto di tutto per il suo bambino, l'amore di questa madre è molto intenso. Se si riesce ad avere questo amore verso queste persone, è sicuro che Dio ci aiuterà.
Ed ecco che Dio ci ha aiutato attraverso l'amore. Cercando Dio in queste persone. Oggi posso dirvi che in ogni caso grazie a Dio noi abbiamo 5 centri, abbiamo due centri di accoglienza e tre centri di riabilitazione. Molti di questi malati lavorano e sono reintegrati nelle loro famiglie.
Finalmente si scopertine/copre che sono anche loro degli uomini e che hanno bisogno di vivere.



Che cosa ha di straordinario questa esperienza?

Marco Bertoli
: In Africa c'è una realtà tragica, per quanto abbiamo potuto vedere.
È veramente tragica, perché i malati di mente sono nei villaggi, e vengono legati agli alberi, cioè fissati agli arti, soprattutto inferiori a dei tronchi e lasciati lì per anni e anni. Quindi parliamo proprio di una schiavitù. La cosa straordinaria è che un africano ha cominciato a liberare
dei suoi conterranei, rischiando moltissimo in questo lavoro. Il malato di mente è qualcuno che non si può nemmeno avvicinare, non si può nemmeno toccare, è un posseduto dal demonio e in questo senso, Gregoire, sconvolge completamente,
Per esempio, uno psichiatra africano, che ha anche studiato a Parigi, vedendo Gregoire avvicinarsi a certi malati di mente gli ha detto: "Non sei un uomo, sei uno stregone, un uomo non può avvicinarsi a un malato di mente in questa maniera".
L'esempio dice bene come Gregoire ha sconvolto completamente le caratteristiche classiche della cultura africana, rispetto al malato di mente.


Un nuovo Mosè?

Don Paolo Zuttion
: In un certo senso sì, nel senso che, come Mosè, questa esperienza nasce da una chiamata, da un incontro con Dio, che spinto Gregoire ad andare verso queste persone, verso gli ultimi. In Africa gli ultimi tra gli ultimi sono proprio i malati di mente. Diciamo, un nuovo Mosè, anche nel senso che ha sconvolto completamente le caratteristiche culturali rispetto alla malattia mentale, che ci sono in Africa perché nel paese di Gregoire la malattia mentale è vista come una specie di possessione demoniaca, legata molto alla visione magico-religiosa, che è tipica dell'africano.


Dove vivono i malati di mente in Costa d'Avorio?

Don Paolo Zuttion
: Ci sono tre situazioni in cui vivono i malati di mente.
La prima è quella delle città, dove il malato di mente viene abbandonato, vaga nella città nudo e cerca un po' di cibo nella spazzatura., ecc. La seconda situazione è quella del malato di mente che è incatenato nel villaggio con dei ceppi ai piedi. La famiglia lo incatena nell'ambito del villaggio o nella corte . La terza situazione, di cui parlava Marco, è quella di certi villaggi, se così possiamo chiamarli, dove i malati di mente sono incatenati in grande numero, 50-100 persone. Questi villaggi sono tenuti da delle sette di origine protestante che accolgono questi malati, li incatenano sotto il sole e sotto la pioggia. La terapia consiste nel picchiarli perché questi malati sono posseduti dal demonio. Quindi, nel corso della giornata sono picchiati al grido: "demonio esci, demonio esci". Spesse volte devono digiunare, questa è la terapia.
Questo, porta un beneficio finanziario a queste persone. La famiglia deve pagare una certa somma perché il malato venga accolto. E qui è rischioso.
Abbiamo fatto esperienza con lui, abbiamo rischiato un linciaggio quasi. Lo abbiamo anche fatto presente alle Autorità e anche sporto denuncia contro questa situazione alla polizia. Ma non abbiamo ottenuto nessun risultato perché, probabilmente questa realtà è copertine/coperta da persone molto influenti.


Cosa può insegnare a noi un'esperienza di questo genere?

Marco Bertoli
: L'esperienza di Gregoire ci insegna un aspetto affettivo che molto spesso nei nostri servizi non c'è. Noi siamo anche tecnicamente preparati e professionalmente adeguati, ma andare alle persone con la libertà e la gratuità di Gregoire, è un'esperienza che si impara.
Io credo che la testimonianza di Gregoire può essere importante. Credo che l'origine della sua forza, che deriva, come si diceva prima, anche con l'incontro dell'esperienza cristiana sia comunque una testimonianza importante per tutti, un'esperienza che lascia esterefatti e lascia colpiti per la forza che ha e quindi, credo che possiamo dire che l'esperienza cristiana aiuta a guardare alla persona in un modo diverso, in un modo di accoglienza, di ospitalità ricercando nella persona tutte le risorse che anche nella malattia permangono; per cui si può fare un reale cammino di riabilitazione.

Don Paolo Zuttion: Io credo che l'esperienza di Gregoire sia un'esperienza in fondo universale. Mi hanno molto colpito, ad esempio, le parole che ci ha detto uno psichiatra, subito dopo un convegno a Trieste nel quale è stato consegnato a Gregoire un premio internazionale contro l'esclusione sociale, in onore di Franco Basaglia. Gregoire ha raccontato la sua esperienza. È stato un discorso estremamente semplice ma di contenuti profondissimi, nel quale ha raccontato che ciò che lo spinge è l'amore e questo amore è il più grande farmaco che possa essere utilizzato verso queste persone.
Questo psichiatra, alla ricerca di Dio ma agnostico, ci ha detto: "Vi ringrazio perché in fondo tutti noi abbiamo impostato il nostro lavoro sulla razionalità, sulla ragione. Avevamo bisogno di sentire parlare in questi termini, parlare di fede, parlare di Dio che spinge questo uomo ad andare verso il povero e che ha dei risultati che noi non riusciamo ad avere con i nostri soldi, vi ringrazio perché fede e ragione possono andare insieme, lo abbiamo visto. E noi tutti in fondo, noi agnostici, perché noi psichiatri, tranne rare eccezioni, siamo tutti agnostici e tutti razionalisti, aspettavamo questo".